Siamo programmati per una vita lunga e sana ma i meccanismi mentali, le pressioni sociali e le credenze culturali sono capaci di farci ammalare.

malattia e disagio

L’opinione comune, suffragata dalla medicina contemporanea, è che la malattia vada combattuta: ma è come dire che alla fine dovremmo combattere noi stessi, invece di cercare di interpretarci tramite il disagio organico.

Se la malattia siamo noi, perché viene di solito intesa come qualcosa di staccato ed esterno da noi? Perché viene considerata come qualcosa di imponderabile che ci coglie a tradimento?

Si cerca di rigettare il “male”, lontano dalla nostra inetta percezione, tramite terapie volte a trattare i sintomi, ma non a voler comprendere i meccanismi alla base del disguido, qualunque esso sia. Credo invece che le patologie siano annullabili con la profonda conoscenza di sé, con la consapevolezza delle radici del nostro disagio sociale, oppure da accettare, fino alla morte, sempre e solo attraverso questa capacità conoscitiva. La malattia quindi non è un accidente, ma una occasione di crescita, a volte di cambiamento.

C’è da chiedersi, però, perché bisogna arrivare a perdere tutto per poi dare il meglio di sé? Perché bisogna finire in condizioni estreme per sentirsi esistere? Perché non disfarsi prima del disagio sociale che ci affligge?

Alcuni sciamani ci ricordano che siamo seppelliti dall’educazione impostaci dalla società, ingannati nel percepire il mondo come solido e definito, e rifiutandoci di considerarci in qualche modo “magici”, e andando incontro alla nostra fine in maniera del tutto inconsapevole.

I nostri costrutti psicofisici, basati su una fallace percezione di noi stessi e delle nostre possibilità, ci impediscono di accorgerci della costante alterazione degli equilibri biofisici (energetici) e biochimici a cui andiamo incontro, fino al tracollo psicofisico che si palesa nella malattia, sia fisica che mentale, a volte di entrambe contemporaneamente.

La nostra vita è accompagnata da questi continui squilibri biochimici, il cui unico riflesso percepibile è, a volte, solo un apparentemente ingiustificabile malessere di fondo, che però protratto per un certo periodo, e non identificato e corretto, ci porterà inevitabilmente alla malattia.

Non si tratta, quindi, di biasimare a tutti i costi le nostre necessità biologico-sociali, ma di capire il limite oltre il quale un individuo paga in termini di salute il suo essere inconsapevole dei suoi profondi bisogni emotivi, dei suoi desideri, immolandosi alla causa della specie contemporanea.

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Questo lo possiamo verificare semplicemente osservando le deformazioni estetiche e le disfunzioni organiche. Una pur minima eccedenza di grasso corporeo, o una diminuzione del tono muscolare, sono già sintomi di un disagio psicofisico che se non corretti in tempo porteranno fatalmente a scompensi sempre più gravi. È la “malattia” dell’Uomo occidentalizzato, perennemente afflitto da un disagio sociale, che si è allontanato dalla Natura, per sposare contesti e ruoli che di naturale ormai hanno ben poco.

Pensate all’Uomo primitivo: le tribù primitive viventi, pur con ridotta disponibilità di cibo, vantano corpi armoniosi, solidi e tonici, portamenti eretti e fieri. Da noi invece si evincono sovrappeso ed obesità in quantità eccessiva, posture curve sotto il peso dei ritmi che la nostra distorta società ci impone. Raro è da noi riscontrare morfologie che mostrino salute. Bisognerebbe comprendere più a fondo cosa ne fa il nostro corpo del cibo che mangia, e come la nostra testa elabora il proprio vissuto emotivo. Le differenze tra i primitivi e l’essere “civilizzato” sta nel diverso grado di contatto con la Natura e con i propri simili, oltre che con se stessi. Impera nel mondo civilizzato la mancanza di una vera comunicazione con gli altri e con i propri reconditi bisogni, la sintonia con un ambiente naturale e con la propria essenza: tutto ciò ci causa uno stress psicofisico con conseguente alterazione biochimica, e dispersione di ossigeno e aminoacidi. Se poi sul tutto ci aggiungiamo terapie invasive, farmaci a gogò, e diete dimagranti restrittive, il tracollo è assicurato.

Le città odierne pullulano di persone in balia della loro incapacità di intravedere le loro specifiche peculiarità, soffocate da un inutile disagio sociale e per di più deprivate di ossigeno, soggiogate da falsi bisogni, e frustrate per questo. L’ Uomo non coglie più l’espansione e l’espressione del proprio essere, e paga un caro prezzo in termini di salute.

La verità è che lo sfacelo estetico della persona è già la sua malattia, un’aberrazione psicofisica già visibile ad occhio nudo. La forma del corpo a volte parla molto più chiaro di una TAC o di una RM, o di esami chimici di routine che poco dicono del vero stato di salute di una persona. Spesso gli esami non indicano stati patologici, ma se si va a scavare nel vissuto della persona si troveranno sintomi che sono segnali di un disagio sociale che, se protratto nel tempo si evinceranno in stati patologici conclamati. Insomma è come dire che si chiude la stalla quando i buoi sono ormai scappati.

Secondo R. Shafer, la persona non si impegna a cambiare i propri modi di essere e di percepire se stessi e il proprio mondo interiore, al fine di trovare la chiave di volta per la realizzazione del proprio specifico piano di azione. Un piano di azione volto a farci stare bene, sia psichicamente che fisicamente e che disinneschi una condizione di soggiogamento ad una condizione che porta l’individuo a rinnegare il proprio potere personale. L’effetto di abbrutimento estetico, derivante da un mancato discernimento del proprio vissuto emotivo, e conseguentemente da uno stile di vita scorretto, segnala un’ incongruenza marcata dal vivere una vita vissuta nella piena inconsapevolezza, preda ormai di meccanismi automatici di sopravvivenza dove non c’è più posto per un’attenta autoanalisi del proprio sé, lasciandosi andare alle frustrazioni e alla conseguente depressione, come unica manifestazione del proprio essere.

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Rinunciare a credere nei propri intimi talenti è una tragica, lacerante e inevitabile scissione dal Sé. L’angoscia esistenziale che ne consegue ci porta a comportamenti altamente distruttivi, come il mangiare troppo e/o male,  bere troppo alcool, fumare troppo: meccanismi compensativi per tutte quelle mancate gratificazioni che porteranno inevitabilmente ad alterazioni della nostra composizione corporea, senza contare le somatizzazioni sull’asse endocrino nervoso preludendo a malattie psicosomatiche, aumento dell’aggressività, e comportamenti sociali aberranti.

Non sarebbe il caso di promuovere dei comportamenti atti ad invertire questa tendenza silenziosa all’autodistruzione?

Da una parte l’uomo non vuole ammalarsi e vorrebbe vivere a lungo e in buona salute, dall’altra non fa nulla per comprendere i suoi cattivi comportamenti e le radici del suo disagio sociale, ma anche quando li comprende spesso è ormai preda di meccanismi mentali, sociali e culturali che nulla fanno per impedire questo sfacelo, lento, ma inesorabile. L’individuo porta con sé un meraviglioso bagaglio cellulare, ma è incapace di gestirlo al meglio ed esaltarlo. È un vero peccato, perché in realtà saremmo programmati per una vita lunga e sana, ma facciamo del nostro meglio, anzi direi del nostro peggio, per renderci la vita difficile. Dimentichiamo la nostra essenza, la nostra bellezza di esseri superiori, proiettando la nostra Ombra sugli altri, assurgendo a vittime delle presunte negatività degli altri o delle circostanze avverse, le quali non sono altro che i riflessi delle nostre essenze socialmente inaccettabili, con il rischio di non appropriarci più della parte sana di noi stessi, della nostra luce, e gli altri proiettano altrove la loro Ombra, e sono a loro volta il riflesso di proiezioni di altri ancora, in un gioco infinito di relazioni sociali disfunzionali dove alla fine non riusciremo più a capire chi siamo noi e chi sono veramente gli altri.

Depressione e infiammazione cronica

La depressione colpisce “almeno una volta nella vita, da una persona su 5 a una su 3: in sostanza, il rischio di un individuo di sviluppare un episodio depressivo durante la propria esistenza è di circa il 15%. L’esordio può avvenire a qualunque età, ma è più frequente tra i 20 e i 30 anni, con un picco di incidenza nella decade successiva con gravi ripercussioni sul piano affettivo-familiare, su quello socio-relazionale e nell’ambito professionale”. Questo è quello che hanno riferito gli esperti dell’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere (Onda) ad AdnKronos Salute, sottolineando che:

Uno degli aspetti più rilevanti e innovativi è la scoperta della relazione fra infiammazione e depressione: pazienti con infiammazione sistemica sono frequentemente depressi e pazienti depressi mostrano un aumento di indici dell’infiammazione.

Felicità e salute: la dopamina aiuta gli anticorpi

Che essere felici aiuti ad essere sani, lo conferma recentemente una ricerca italiana pubblicata su Nature. A svolgere un ruolo fondamentale sarebbe la dopamina, l’ormone del piacere, contenuta e prodotta dai linfociti T, e capace di generare una quantità maggiore di anticorpi. La scoperta potrebbe avere risvolti interessanti anche in relazione alle malattie autoimmuni.

Se la malattia nasce dal disagio sociale

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